“Troppe bici e ovunque”. Titolava così la Stampa di qualche mese fa riferendosi all’atterraggio delle bici free floating a Torino. Trasformazione radicale per la mobilità urbana, piazze auliche prese d’assalto, il Po discarica delle bici lanciate dai vandali… I media e i social hanno sguazzato per un paio di mesi sulla presunta rivoluzione portata dal Bike Sharing Free Floating.
A distanza di qualche mese come siamo messi?
Delle cinque società che dovevano rivoluzionare la mobilità torinese ne è rimasta solo una: la MOBIKE delle bici rosse che, per usare un eufemismo, non è che abbiano proprio invaso Torin. OBIKE e OFO sono sull’orlo del fallimento, la prima ha lasciato l’Italia e la seconda non è mai sbarcata a Torino e a Milano offre un servizio ormai a scadenza. Degli altri vettori non si ha più traccia.
Ve l’avevamo detto? Beh si… Intervistati a più riprese ribadimmo concetti molto semplici: lo sharing è solo un piccolo tassello nel mosaico dei trasporti. Se si incastra male su un tessuto urbano e viabilistico non pensato e disegnato per lo sharing (e per le bici) non serve quasi a nulla e non sposta di una virgola la mobilità cittadina.
E ancora: sono società che hanno fatto degli investimenti e devono guadagnarci. Se non fanno utili se ne vanno e la città rimane esattamente come l’avevano lasciata.
E così è stato. E ve l’avevamo detto.
E il nostro bottino?
Ricorderete che OFO è stato il main sponsor del Bike Pride 2018 e che aveva preso accordi con l’amministrazione per contribuire al miglioramento della ciclabilità della città con una quota di 20 euro per ogni bici posizionata (soldi mai erogati).
Campeggiava sui manifesti, sul sito, sul video e chiaramente al Valentino con tanto di stand predisposto ad hoc. Doveva garantire la sostenibilità economica di un evento che per quanto leggero presenta numerosi costi vivi, lasciando così l’associazione in grave difficoltà economica.
OFO non ha tirato fuori un euro nonostante gli accordi presi e l’ampissima visibilità data secondo gli accordi durante la conferenza stampa, sui media – che ne hanno dedicato ampio spazio proprio in attesa dell’imminente apertura su Torino – e di fronte alle migliaia di partecipanti. La società viaggia verso la bancarotta e i nostri referenti sono stati defenestrati.
Ecco dov’è finita la rivoluzione tanto proclamata.